Mario Guderzo - Gianfranco Paulli Scultore

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Mario Guderzo

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“LASCIAR PAROLA ALLA MATERIA”
   Sculture di Gianfranco Paulli

Testo critico del Prof. Mario Guderzo
(Direttore del Museo e Gipsoteca Antonio Canova)
Settembre 2008

La parola greca “α γ α´ λ μ α τ α” [aga'lmata], letteralmente 'statue', significava in antico 'cose belle'. E le cose belle erano destinate agli dei. E quando lo scultore rappresentava il corpo degli dei e degli eroi non faceva altro che un’offerta al dio di un dono supremo, un dono di bellezza. La chiave semantica ci dice, dunque, che in Grecia, come in tutta l’antichità, la scultura era il tramite per giungere alla divinità e rappresentarla in un omaggio votivo di marmo.

L’Imperatore Adriano, nelle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar, afferma ”L'umano mi corrispondeva, vi trovavo tutto, anche il divino”. Così la rappresentazione naturalistica della figura umana diventa il soggetto elettivo dello scultore, il modello assoluto di riferimento e, nel raffigurarlo, la scultura trova la sua stessa ragione di essere.

Nel corso dei secoli la scultura è rimasta un’arte eletta, evolvendosi nel tempo. Non si conosce nel primo Medioevo e nell'età barbarica una vera e propria scultura se non in elementari forme espressive quali il graffito e l'incisione. Il risorgere di una grande scultura plastica si ha nell'età romanica: rilievi e figure a tutto tondo inseriti in portali, pulpiti, capitelli di chiese e battisteri. Nel periodo gotico la scultura è sentita sia come ornamento e completamento dell'architettura sia come espressione artistica individuale e autonoma. Parallelamente alla scultura in pietra, grande è lo sviluppo della scultura in legno (statue, mobili, decorazioni architettoniche intagliate, policromate e dorate), e la tecnica della fusione viene riattivata. Nel Rinascimento la scultura non è più legata all'architettura, ma diventa protagonista, le statue assumono caratteri molto realistici dovuti ad un continuo studio dell'anatomia umana. Molti sono i Trattati sulle tecniche, come quello di Leon Battista Alberti (1404 - 1472), Benvenuto Cellini (1500 -1571), ma la scultura di questo periodo è rappresentata da Michelangelo (1475- 1564) che, pur essendo anche pittore ed architetto, incarna l’essenza stessa della scultura, arriva a scrivere che non esiste idea che non si possa esprimere nel marmo. Nessuno può competere con lui nel dar vita alla materia: è lui stesso a scegliere il marmo bianco di Carrara sul quale lavorare, senza ricorrere al lavoro degli scalpellini, fa tutto da solo, mettendo in pericolo la sua stessa vita. Il suo Classicismo antico e nuovo, raggiunge la perfezione grazie al vigore delle forme, alla fierezza dello sguardo, alla purezza delle linee. Il Mosè è considerato come la più grande statua della modernità. Successivamente, il Manierismo appare come uno stile più virtuosistico e più complesso nelle forme. Gian Lorenzo Bernini (1598 – 1680), nel secolo successivo, sa applicare un nuovo linguaggio a quest'arte: con il movimento delle figure immerse nello spazio, orna delle sue forme barocche e spettacolari chiese e palazzi, la scultura deve essere fortemente dinamica, e le solenni basiliche devono rispecchiare il fasto e la potenza della Chiesa.

L'altro stile, che si sviluppa verso la fine del XVIII, sec. è il Neoclassicismo. C'è una riscoperta dell'arte classica: le sculture sono semplici, regolari e prive di dettagli ritenuti inutili. In quest'epoca compare le celebre figura di Antonio Canova (1757-1822), a lui si devono i più alti risultati del­la scultura neoclassica.

Un Neoclassicismo non inteso come imitazione accademica dell’antichità, dettata soltanto dalla moda, bensì come studio serio dell’antico. Scrive Johann Joachim Winckelmann, il teorico del Neoclassicismo, “l’unico modo per divenire grandi è di imitare l’antichità”, naturalmente, con “imitare” non intendeva copiare, ma attuare un processo di “ estrazione e di distillazione “ per “raggiungere la reale semplicità della Natura”.

Tra il XIX e il XX secolo molti artisti hanno rivoluzionato la tradizione plastica europea, uno fra tutti Auguste Rodin (1840-1917) che ha provocato un vero e proprio fenomeno tellurico irrompendo sulla scena della scultura francese ed europea in un momento dominato dall'accademismo romantico e dal neoclassicismo. Rodin è, in questo senso, il talento che ha liberato la forma a tutte le possibilità della visione attraverso un modellato avvolgente e tempestoso, dove la luce viene assorbita e riflessa dallo splendore alabastrino del marmo per rivelare prodigi inesauribili di invenzioni plastiche.

All'ordine strutturale dell'opera, Rodin sostituisce la 'hybris', la furia dionisiaca, categoria greca che trovava il suo transfert estetico e filosofico nel vitalismo nietzschiano. Tra impressionismo e simbolismo, tra potenza e languore, la sua visione plastica genera figure dove il non-finito si ammorbidisce in levigate consunzioni, in un sensuale ondeggiare della superficie che è il percorso inconfondibile di Eros, della baudelairiana 'petite mort', l'estasi liberatoria della carne. Come in un esorcismo finale, Rodin chiude la grande stagione romantica dell'arte.

Dopo di lui Bourdelle, Maillol, Brancusi, Medardo Rosso, Alberto Giacometti, Moore ed altri si dedicano al grande archetipo divenendo i massimi interpreti della scultura moderna. Ognuno di loro lo elabora dopo aver operato una lunga ricerca sia sul piano artistico sia personale. Tale varietà di espressioni artistiche ha portato alla sperimentazione di metodi e materiali diversi.

Gli stati d'animo, i sentimenti, le emozioni sono alla base di un progetto artistico, ma essi da soli non sono arte e nemmeno espressione figurativa. L'arte, in particolare la scultura, è situata alla fine di un lungo percorso di ricerca tecnica e psicologica, è un insieme di nozioni apprese, sperimentate e verificate, è, nello stesso tempo, metodo, tecnica e capacità di capire, interpretare e reinventare le cose.

Arturo Martini dice: “ L’artista è un operaio. Non ha qualità particolari a sua disposizione se non questo sacco poetico: quando ci mette le mani, tira fuori”.

E’ quello che fa Gianfranco Paulli in un periodo dell’arte in cui l’incanto e la ricerca di nuove forme sospinge alla realizzazione di esperienze a dir poco esaltanti. Vive con passione e fisicità il suo rapporto con i materiali, prediligendo il bronzo ed il marmo, non disdegnando la creta.

Se l'arte è alla fine di un lungo percorso di formazione è anche, allo stesso tempo, all'inizio di un altro percorso fatto di creatività, fantasia e ricerca del gusto.
Colpisce la sua capacità di trasfondere all'inanimato la sua anima, di far vivere le sue figure di purezza e di bellezza. Proprio il gusto personale del creativo, applicato al proprio prodotto, segna la differenza tra un lavoro banale ed una buona realizzazione, tra un mediocre artigianato e l'opera d'arte; una scelta di questo tipo impone la combinazione più proficua di nozioni, situazioni e tecniche fino alla creazione di un’opera artisticamente valida, capace di esprimere, comunicare o anche solo di esistere in sè.
Grazie ad un’approfondita ed appassionata ricerca personale Paulli è riuscito ad elaborare uno stile contraddistinto da segni, forze, movimenti ed originalità. Il suo percorso esaurisce tutte le esperienze che si ritengono più congeniali e pertinenti ad una sensibilità legata ad una iconografia orientata al naturalistico. L'opera e la natura sembrano scambiarsi i ruoli, così come l'azione dell'artista e quella degli elementi finiscono per confondere prerogative e facoltà: l'acqua e il vento, con il trascorrere del tempo, non a caso definito dalla Yourcenar “grande scultore”, in uno dei suoi testi più significativi: Il Tempo, grande scultore, perché rimodella e intacca, possono aver plasmato e levigato, al posto della mano dello scultore, opere in cui appaiono evidenti le ascendenze antiche.

Paulli opera con frequenti richiami alle più nascoste pulsioni della psiche umana, fondandosi su un mondo che, a sua volta, si radica nello studio del passato e non sulla rincorsa alle seduzioni delle mode presenti. L’artista segue l’ispirazione dell’arte classica, greca e latina. Ascendenti di Paulli si ritrovano in grandi scultori e vengono presentate in quelle ricercate e levigate forme umane stupefacenti per la bellezza che ci hanno tramandato, quasi che il corpo femminile e maschile, passando attraverso le loro mani, si sia fissato per sempre.

Così scrive lo stesso Antonio Canova: “Peccato che quella Ninfa non parli, dicea un Inglese, e quell’Ebe non s’alzi nell’aria!... Io non presumo con le mie opere ingannare alcuno: si sa ch’elle son marmo, che le son mute e immobili: mi basta che si conosca aver vinto in parte la mia materia coll’arte ed avere avvicinato al vero. Se fosse l’opera mia veduta vera, che lode avrei dai miei sforzi? Mi giova anzi che si conosca esser marmo, che la difficoltà mi fa condonare i difetti: non aspiro che ad una illusione”.

Così è anche per Paulli, la cui indole detta le regole di una personalissima concezione plastica che sembra superarsi di scultura in scultura, di periodo in periodo, e, ultimamente, ha raggiunto la sua poetica più alta, sempre e comunque legata al racconto plastico dell’uomo come storia, individuo irripetibile, al centro di un universo dominato da regole inflessibili quasi come quelle della scultura.

Paulli affida la sua anima alle opere che gliela sottraggono una volta finite. E’ legato alle sue creature con un’intimità prolungata, appassionata e sofferta; la sua è una naturale urgenza fisica nell’intendere la scultura, dove l’emozione, la spontaneità ed il mestiere diventano le condizioni essenziali per operare.

Ben si vede quanti e quali possibili movimenti hanno in sé queste sculture, tutte sembrano in attesa di qualcosa, vorrebbero agire: muoversi, andare, progredire. C’è un orizzonte o un destino che le attende. Come se lo scultore volesse aggiungere al mito un suo personale mito, un dramma nascosto recondito maturato nel suo intimo, in quell’ inconoscibile e aggrovigliato regno che è dentro ognuno di noi e che non si svela, appare per piccole fessure o rapidi tratti, che rendono il mistero ancora più attraente.

La costante preoccupazione dello scultore è quella di "levare" ogni resistenza opprimente a vantaggio di una maggiore tensione vitale per riuscire a liberare l'energia interna, contenuta in un continuo rimettere in gioco, una ricerca ed un processo operativo che tenta di soddisfare i sempre nuovi interrogativi formali propri dell'autentica tensione poetica.
Il suo lavoro aspira ad un compimento più ampio: trovare la “forma” che rappresenti il suo intimo profondo e sincero, la totalità emotiva ed artistica, nella perfetta simbiosi tra l’idea e la rappresentazione, tra l’ispirazione e il risultato finale.

L’artista è portato a superarsi di continuo alla ricerca di una modernità che sia realmente figlia dei tempi senza l’ossessione dell’originalità. Guardando alla sua indole passionale e romantica da un lato ed alla classicità dall’altro, appare costantemente teso verso l’assoluto, in una sequenza inesausta di episodi espressivi a volte compressi a volte esplosivi. Ma la sua volontà non è tanto quella di esprimere forti stati d'animo, violenti ed inquieti, oltre a realizzare forme dinamiche e contorte, bensì infondere nella scultura amore, calma e serenità. Nelle sue opere predominano le superfici curve, ben levigate, in cui la luce non va a scontrarsi con la materia, ma scivola lentamente, senza ostacoli; gli effetti di chiaroscuro non danno contrasto, si fondono insieme in un’ ampia armonia di toni.

Concentrando la sua arte sul problema centrale della forma che sembra sempre evolversi da un'opera all'altra, come se ogni pezzo realizzato desse il via e producesse il successivo analogamente ad un percorso di flusso naturale, di evoluzione, di continua trasformazione della materia, egli approda a produzioni di elegante fattura. Gianfranco Paulli continua a ricercare la pulizia formale facendo emergere allusività di linguaggi, forme racchiuse nel marmo nel quale sa di poter penetrare per lasciare uscir fuori corpi e forme che vivono autonomamente liberandosi dal peso della materia, respirando quasi a pieni polmoni in un silenzio metafisico, quasi enigmatico, in cui staticità e movimento si compenetrano. La luce accarezza queste forme, bloccandole in un’unità di gesto, di spazio, di tempo, di tensione fatti di vitalità ed entusiasmi che alternano note acute a pause melodiche.

Quella di Paulli è una scultura di pieni quando si mantiene legato alla tradizione più alta della plasticità novecentesca di Martini, Messina, Manzù, Marini sostenendo senza incertezze il mito la grazia e l’eleganza. Ma è anche una scultura di vuoti nel momento in cui, memore della lezione di Giacometti e degli spaesamenti dell’immateriale, da Rodin a Medardo Rosso, alterna rifiniture differenti sullo stesso soggetto, modellando alla perfezione corpi e visi, definendo soltanto le vesti, abbozzando appena altre parti.

E’ un non-finito che vibra di corrosioni, luci, fratture, porosità quasi minerali che sembrano svuotare il significato della figura nella sua semplice rappresentazione. Da questa tensione, che sembra risolversi soltanto all’ultimo istante, placando forze che si oppongono, promana l’energia assoluta delle forme, e le figure paiono avvolte in una sorta di sacralità austera, una grazia silenziosa.

Nelle sue creazioni scultoree dalla chiusa staticità riesce a far penetrare lo spazio, così i volumi plastici appaiono totalmente sciolti in linee sinuose, leggibili da visuali diverse che dilatano gli spazi conglobando l'essenza interiore, allusivamente misteriosa e risolta in puro movimento. A questo può portare l’arte scultorea, come scrive Canova, Nei suoi Pensieri sulle Belle Arti “ La scultura, l’udii dire un giorno con uomini valenti, non è che un linguaggio tra le varie lingue, colle quali l’eloquenza delle arti esprime la natura. E’ questo un linguaggio eroico, come il tragico tra i linguaggi poetici”.


Mario Guderzo
(Direttore del Museo e Gipsoteca Antonio Canova)
Settembre 2008




 
 
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